QUESTIONS AND ANSWERS: NEWS FROM THE WINE – Luciano PIGNATARO

Penna autentica e assennata del giornalismo di settore, Ambasciatore della Dieta Mediterranea, cicerone instancabile della tradizione gastronomica campana, Luciano Pignataro, di origini cilentane dove nasce e cresce alle falde del monte Gelbison, si racconta e racconta il Paestum Wine Fest nell’intervista “Question and answers: news from the wine”.

  1. E se dicessimo “Paestum Wine Fest”, cosa risponderebbe Luciano Pignataro?

“E’ la sintesi della perseveranza di una persona, Angelo Zarra, che raggiunge ottimi risultati dopo aver compreso che si vince facendo squadra, con progetti inclusi privi di pregiudizi capaci di coinvolgere senza gelosie tutte le competenze possibili e immaginabili che sono a disposizione. Soprattutto con una apertura globale, aggiornata a quelle che sono le tendenze. Paestum, è stato già sperimentato dal congresso Le Strade della Mozzarella per dieci anni, è il territorio ideale per fare qualcosa di diverso che ampia un respiro nazionale. Si avvertono i tempi lenti di cui ci siamo dimenticati tutti e capiamo quanto sia preziosa una chiacchiera fatta vicino i templi illuminati dalla luna. L’atmosfera che si respira è colloquiale, non isterica come avviene in gran parte delle kermesse del vino in Italia e internazionali. Qui è la persona al centro, non il prodotto. Ed è sempre con una punta di malinconia che ci si lascia il giorno dopo. Forse perché si fa in un territorio dove la natura detta ancora i tempi della produzione e si entra a far parte di un passato ricco di storia e incredibile.

  1. Luciano Pignataro è il Cicerone della comunicazione del vino e della gastronomia, soprattutto in Campania e nel Sud. Cosa vede in un’ottica di presente e di futuro un occhio così esperto se si guarda al “Paestum Wine Fest” che nasce ai piedi dei templi di Paestum?

C’è un senso di autolimitazione quando si fanno le cose al Sud, non so, forse è un retaggio storico ancestrale che ci portiamo dentro dopo la fine del Regno delle Due Sicilie. Come ci ha fatto notare giustamente Alessandro Rossi durante una cena, si è vincenti se sia ha l’ambizione di parlare all’Italia, di essere l’Italia. Il localismo ha valore identitario, ma se non si ha la capacità di trasmetterlo può diventare un limite. Non c’è alcun motivo per cui Merano possa sviluppare un progetto importante in montagna e a Paestum non si possa fare altrettanto in riva al mare.

  1. Comunicazione e business, quali sono i punti di successo per un evento che si rivolge agli operatori e ai comunicatori del mondo del vino?

Il mondo del vino è molto autoreferenziale, ha sviluppato un linguaggio esoterico che respinge la maggior parte delle persone. Forse questo è stato necessario negli anni ’90 quando si doveva creare una comunità del vino moderno post metanolo, oggi però manca il gancio con la stragrande maggioranza dei consumatori. Tanta gente ama bere ma si vergogna a tavola di dire la propria opinione su un bicchiere. Come è possibile? E perché succede con il vino e non con il cibo? Succede perché ci si è concentrati troppo sul prodotto e sul produttore e non sul contesto in cui nasce una cantina. Attenzione alle scorciatoie però, l’effetto di Instagram per un vino è quello di un cartellone pubblicitario tradotto nel mondo virtuale, attirare l0attenzione non significa dover banalizzare e una bottiglia di vino non si può vendere come un pandoro o dei pannolini. Gli uffici marketing che pensano di essere moderni chiamando a raccolta influencers sono già vecchi. Lo faceva già la “Dom Perignon” nel 2017. Bisogna comunicare la complessità con la semplicità, e non p facile. PWF si presenta fresco, deve essere utile per i produttori e per gli operatori che non devono avere la sensazione di vedere qui quello che hanno visto già altrove. Dunque la chiave è nel cambiare continuamente la formula e presentarsi con contenuti aggiornati in grado di anticipare i temi. Lo abbiamo già fatto l’anno scorso con il Brunello di Argiano, per esempio.

  1. Editoria e pubblicazioni, quanto sono importanti per il business di un’azienda?

L’editoria sta attraversando un periodo di crisi che è irreversibile per chi resta aggrappato al cartaceo. E’ come precipitare in mare e voler nuotare senza mollare lo zaino. Ormai solo la generazione boomer è affezionata alla carta ma in realtà anche questa fascia di età si informa sul web. Le aziende inseguono i premi che però non sono più in grado di determinare il mercato e lo colgono come un momento di comunicazione. Le mail di noi del settore sono piene di trionfanti comunicati in cui si dice che tizio ha vinto questo e caio ha vinto quello, ma in realtà finiscono nel cestino perché non coinvolgono nessuno se non i diretti interessati. Con questo non voglio affatto sminuire il lavoro, molto serie, che tante guide fanno ogni anno, il tema non è il lavoro, ma il modo di comunicarlo che non sta al passo con i tempi. E’ il momento di fare qualcosa di nuovo, soprattutto di scindere la comunicazione dalla informazione. Troppo spesso noi giornalisti ci troviamo a dare consigli su come vendere: sbagliamo a farlo. Noi dobbiamo raccontare e i critici devono giudicare. A vendere ci devono pensare i produttori.

  1. Un settore in continua crescita quello degli eventi del vino che spesso si traduce in esoterismo e in turismo enogastronomico. In un contesto dove storia e arte si fondono, “Paestum Wine Fest” può parlare anche a chi vuole iniziare a conoscere, in un modo un po’ più approfondito, di cultura del vino?

Deve essere la chiave interpretativa che lo distinguerà. Se riuscirà in questa impresa, il Paestum Wine Fest accrescerà il suo peso nel mondo del vino altrimenti, passata la novità e l’euforia, rischierà il declino. Il segreto è trovare sempre nuove formule, creare novità, spiazzare chi si aspetta la solita kermesse di cui è piena l’Italia. L’ambiente, la squadra messa insieme in questi ultimi esaltanti tre anni, sono delle premesse molto interessanti. Fare cose nuove è uniche ha un vantaggio: si è concorrenti di se stessi perché si vola da soli.