Luciano Ferraro – Premio giornalista eno

Puoi raccontarci come è nata la tua passione per il vino?
Difficile parlare di inizio della passione perché da buon veneto ho ben radicata in me l’abitudine al consumo a livello famigliare: non esistevano famiglie negli anni ’60 senza la cantina in casa e le damigiane prese in campagna, nel mio caso in Friuli o Conegliano. Ce le imbottigliavamo in casa per poi vederle spesso esplodere in primavera nelle bottiglie…
Dal punto di vista della passione e curiosità ho iniziato quando a Jesolo, il mio paese, aprì l’Enoteca di Mauro Lorenzon e con lui che chiudeva il lunedi o in quel giorno lo seguivo per produttori. Decisi allora di scrivere un libro sulle enoteche del Veneto che nei primi anni ’80 erano pochissime. Da lì ci fu poi bisogno di trovare un editore e ad un Vinitaly ho incontrato Veronelli e gli ho chiesto se poteva farci introduzione. Non solo accettò ma addirittura ci ha trovato editore e anche la possibilità di pubblicare un altro libro.  Dopo aver lavorato al Gruppo Espresso passo al Corriere e qui ritrovo Veronelli perchè aveva una rubrica sul Corriere nella sezione delle Cronache dove scrivevo, si chiamava “Agrodolce”: era un vero piacere per me titolare i suoi pezzi e passarli in redazione. Aprii poco dopo una pagina cartacea e online insieme al compianto Francesco Arrigoni che si chiamava “le Vie del Gusto”. Dopo la sua dipartita questa rubrica è diventata un dorso a parte su “Tempi Liberi con gastronomia vino e moda a design.

Come vede la carriera di giornalista ai tempi della AI?
La AI può aiutare se ovviamente cominciamo a mettere paletti etici e ci occupiamo della gestione del copyright: se uno fa lavoro di ricerca e i propri risultati finiscono in uno scritto di openAI il sistema non regge più. I gruppi editoriali stanno cercando tutti di farsi pagare il loro lavoro e ci sono già i primi accordi milionari in tal senso (Le Monde e altri). In questo momento più che intelligenze artificiali servono intelligenz3 umane giuste perché si tolga parte ripetitiva del lavoro e perchè il nostro miglior spazio mentale possa essere destinato alla ricerca di nuove idee e prodotti. Al NY Times c’è una persona che si occupa di questo e ha fatto lavoro dedicato proprio a come si usa AI per il giornale e la comunicazione, Capire le potenzialità è importante, l’AI non è il male assoluto ma va sfruttato per il meglio. Quando lo capiremo sarà d’aiuto come lo è stato internet. All’inizio il primo giorno con mio piccolo computer in redazione, quando il giornale non aveva un sito né c’era peraltro il collegamento web, arrivò una notizia importante appunto dal web, qualcosa che stava accadendo e di cui avremmo dovuto informare i lettori, quantomeno il giorno successivo. M nessuno si fidava della veridicità di quella notizia semplicemente perchè “arrivava dal web”.

Se potessi incontrare un vignaiolo del passato chi sceglieresti? E cosa vorresti chiedergli o bere insieme a lui
Vorrei re-incontrare Franco Biondi Santi , ne ho un ricordo ancora acerbo, ero un ragazzo, volevo comprare una bottiglia e mi ha detto “lascia perdere non hai i soldi” comprati un Rosso e ti piacerà. Mi è sempre rimasta la voglia di assaggiare uno dei suoi Brunello di Montalcino, magari  una sua riserva storica in cantina.

Nella tua esperienza nel campo del vino, dove pensi stia andando la produzione e lo stile dei vini ? i vini senza alcol o con ridotto contenuto di alcol sono uno dei futuri possibili o l’inizio della fine del vino come bevanda?
Posso garantire che c’è dell’interesse vero sui no alcol, anche se siamo ancora allo “strano ma vero”. In Italia si fa difficoltà a concepirlo perchè non si riesce a togliere la parte alcol dal vino: L’interesse da parte dei media e dei consumatori nei confronti di questo prodotto non è solo come novità in sé ma rivela una fetta di mercato dietro reale. C’è quindi pubblico per una bevanda a base di uva che somiglia al vino anche senza alcol: pensiamo al popolo degli sportivi, quelli a dieta, quelli che non lo possono bere per motivi religiosi, un mercato finora troppo ignorato. I produttori dovrebbero attrezzarsi per cogliere la situazione e dal punto di vista commerciali ci sono già successi come Martin Foradori che è l’unico che lo ha fatto in maniera strutturata. Bisogna seguirlo per bene e la legge deve consentire presto ai nostri produttori di poter competer con gli altri player del settore. In ogni caso anche nel vino “classico” i gusti chiedono sempre meno alcol e bevibilità maggiore.

Uno degli argomenti del giorno sono le fiere del vino: quale sarà il futuro delle fiere ?  In che modo un festival particolare come il Paestum Wine Fest può creare opportunità e business nel settore?   Per quale motivo pensi sia diverso dagli altri e cosa vorresti vedere nelle prossime edizioni?
Le fiere e il sistema fieristico dopo il covid hanno avuto bisogno di assestamento, alcune fiere si sono rimesse in sesto grazie a finanziamenti statali e ristoro ma non tutti li hanno utilizzati bene. Ci volevano idee nuove per avere vera rinascita e non solo una impossibile continuità con quanto visto prima. Per esempio Vinitaly è sempre imprescindibile , ProWein è calata e la Francia è sempre più attrattiva con VinExpo ma il senso trainante è sempre di più realizzare fiere ed eventi che abbiamo focus più sul business possibile. Export è fondamentale in un momento in cui ci sono veri segni di flessione sui mercati tradizionali e quelli più promettenti non si sono rivelati così favolosi (pensiamo a Cina e l’Asia in generale).
Altre manifestazioni come il Paestum Wine Fest sono preziosi perchè sono molto radicati nel territorio. PWF è giovane ma ha vitalità vera nella parte di confronto tra aziende e consumatori ma anche la capacità di mettere insieme lato business e tutto quanto ruota attorno alla comunicazione. Soprattutto molte voci, più mondi da quello tradizionale carta tv e altra ma tanto anche social web, influencer e star dei nuovi media.
Le fiere e gli eventi più piccoli hanno capacità di inventare nuovi format e prendere al volo le comunicazioni sul mondo del vino. Al Sud ci sono meno eventi e meno fiere quindi quelle ben organizzate mostrano grande vitalità e maggior interesse da parte di consumatori .  Per le aziende essere riusciti ad organizzarlo al sud è una base di partenza importante, non scordiamoci che qui è meno facile che altrove, ci sono meno contributi pubblici e tante difficoltà logistiche in più ma Paestum dimostra che volendo lo si può fare e fare a livelli molto alti.