L’asprinio di Aversa, simbolo di un territorio che urla al mondo intero la sua autenticità

C’era una volta una vite che si arrampicava sugli alberi… Non è l’incipit di una fiaba, ma la descrizione di un tipo di allevamento della vite, quello della alberata aversana che affonda le radici in un lontano passato.

Una delle più belle pagine della letteratura italiana è dedicata proprio ad un arrampicatore di alberi, quel Barone di Calvino che, per protesta aveva deciso di passare il resto della vita sulle piante. Se la scelta di Cosimo Piovasco di Rondò fu di non metter più piede sulla terra ben altra sorte è toccata alla vite che dopo lunghi anni di matrimonio con gli alberi, a terra si è radicata con successo.

UN PATRIMONIO A RISCHIO

Le origini della vite maritata risalgono a tempi molto antichi: la vitis vinifera è indigena ed è normale la sua propensione ad arrampicarsi, a “maritarsi” al pioppo. Pare che le popolazioni italiche preromane abbiano adottato questo sistema direttamente dalla semplice osservazione della vite circostante. Gli etruschi e i romani, ne consolidarono poi il sistema: “erano soliti fare coltivazioni in altezza – spiega Nicola Numeroso, patron dell’azienda viticola I Borboni – perché consentiva di massimizzare la produzione generando un risparmio superficiale che veniva utilizzato per altre tipologie di coltivazioni stagionali. Queste piante sono dotate di un’estrema forza vegetativa e grande vigoria: con le loro altezze vertiginose raggiungono il cielo!”.

Terroir tufaceo dell’agro aversano e asprinio furono scelti anche da Louis Pierrefeu, cantiniere della Corte Angioina, per produrre uno spumante senza dover far arrivare lo champagne dalla Francia. In epoca borbonica invece, questo vitigno vide il suo massimo splendore: i commercianti giungevano in loco per acquistarlo e “la stessa Carolina Bonaparte invitava il fratello a visitare le alberate, dicendo valesse le 500 leghe da attraversare. All’epoca, erano mesi di viaggio!”, continua Numeroso.

Questo patrimonio purtroppo ha avuto un grave decadimento, complici i vitigni di tendenza e la criminalità organizzata, che ha spostato il comparto economico dall’agricoltura all’edilizia, facendo diventare l’agro aversano un agglomerato di cemento. Negli anni 80’ poi lo Stato ha stanziato fondi per l’abbattimento delle alberate riducendo notevolmente le vigne.

 

PROTEZIONE UNESCO PER LE ALBERATE

Custodia e salvaguardia dell’asprinio e delle alberate sono oggi una missione sociale in quanto espressione del territorio e delle sue tradizioni.

Il legame tra questo vitigno storico e la gente del posto è un qualcosa di indissolubile: ancora oggi, gli abili vignaioli, come equilibristi, scalano le alberate con fescina e scalillo per lavorare la vite e raccogliere i grappoli. Le scale sono costruite su misura: la distanza tra un piolo e l’altro corrisponde esattamente alla lunghezza della gamba del suo proprietario in modo da garantirgli una buona stabilità, rafforzata da un incavo centrale sul quale il vignaiolo fa presa con il ginocchio incastrandosi alla scala che, a sua volta, è saldamente agganciata tra i filari. Non si scende mai dalla scala, sarebbe una fatica insostenibile, e quindi ci si sposta lungo i filari saltellando su di essa.

Sono gli uomini ragno, simbolo di una tradizione di “alto livello”: le vigne arrivano a circa 10-15 m diventando un vero e proprio museo a cielo aperto, che quando si colora di verde “diventa più bellissimo”, commenta un vilignatore.

Non ci sono pendenze, nei 22 comuni dove l’asprinio nasce, tra la provincia di Caserta e Napoli, ma è una spettacolare viticultura eroica in una zona totalmente pianeggiante: nei filari verticali non solo è impossibile ogni tipo di meccanizzazione, ma anche la raccolta a mano può essere effettuata solo da personale esperto.

La salvaguardia e il riconoscimento dell’importanza delle alberate aversane ne ha consentito nel 2016 l’iscrizione nel Patrimonio Immateriale della Regione Campania, importante passo per preservare una tradizione che ha rischiato di essere dimenticata, scomparendo nel nulla. Oggi punta ad essere inserito nella lista dei siti Patrimonio Unesco.

“Quando l’ho bevuto, mi sono emozionato – scriveva il celebre critico Veronelli – ero in campagna da un contadino, dalle parti di Aversa, e quell’Asprinio era eccezionalmente buono. Ben lavorato, fragile, elegante. Quello che mi fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare. L’Asprinio di Aversa sarebbe un vino splendido se venisse valorizzato”.

Oggi il lavoro di tutela e la promozione dell’assessorato all’agricoltura è affidato al Consorzio Vitica. “L’obiettivo – spiega il presidente Cesare Avenia – è quello di valorizzare la storia incredibile e le grandi difficoltà che si celano dietro l’alberata e il vino asprinio. Bisogna far capire quanto è difficile questa modalità di produzione, anche mediante contributi scientifici: il vino racconta il territorio e questo è il modo migliore per comunicare a chi assaggia l’asprinio, un prodotto unico al mondo”.

Artigianalità e tipicità dell’agro aversano sono racchiuse in un numero esiguo di bottiglie prodotte da 18 viticoltori, 11 vinificatori ed un solo imbottigliatore. Quella che doveva essere una semplice alternativa allo champagne è diventata, dunque, simbolo di un territorio che ancora oggi urla al mondo intero la sua autenticità.

NOTE DI DEGUSTAZIONE

 

Drengot, Asprinium Asprinio di Aversa igp 2020

(alberata con vite maritata)

Uvaggio: 100% asprinio

Vinificazione in acciaio, con malolattica svolta. Imbottigliamento dopo 12 mesi

 

Veste paglierina con riflessi dorati. La prima intensità olfattiva è piena di frutta estiva, albicocca e pesca gialla. Un certo sfuggente vegetale si insinua nello slalom finale con ricordi di arachide e propoli. La sua freschezza gustativa ha in se tutto lo sprint dell’asprinio e compone un croccante gusto di mela limoncella e cedro.

 

I Borboni, Santa Patena Asprinio di Aversa dop 2018

Uvaggio: 100% asprinio

La lavorazione prevede un’estrazione sottovuoto al 50% del mosto fiore, inoculo e fermentazione, poi sosta in acciaio su fecce fini con batonnage ogni 20 giorni, poi almeno un anno di affinamento in bottiglia.

Paglierino con riflessi verdolini, esplode con un’intensa ondata agrumata, lime e cedro. A seguire, mandorla ed erbe mediterranee. Al palato mostra un grande dinamismo, sviluppandosi in verticale con grande freschezza e mineralità. Vira verso l’eleganza, con un finale salmastro. Intenso, ampio, lungo.

 

Menale Carlo, Asprinio di Aversa 2019

Uvaggio: 100% asprinio

Un calice paglierino luminoso diffonde intensi, netti ed eleganti profumi di pompelmo, bergamotto, erbe aromatiche. Esaltante nel suo carattere fortemente varietale, non mancano sensazioni floreali e note minerali. Fresco, teso e sapido. Coerente e lungo con il retrolfatto.

 

Carolì, Novantanovesima grotta spumante di Asprinio di Aversa 2020

(alberata con vite maritata)

Uvaggio: 100% asprinio

Luccica di un lucente paglierino, all’olfatto Ha una freschezza con personalità pura in tensione tra agrumi, fiori bianchi e un deciso tratto minerale. Santoreggia e pomplemo, mandorle e delicate nuance di erba cedrina. Cera d’ape, mela e tiglio. Struttura, freschezza, sapidità a contendersi un assaggio dal finale di agrumi.

 

Coop Eureka, Vite Matta Asprinio di Aversa doc

Uvaggio: 100% asprinio

Vinificazione in acciaio, dove affina per 4 mesi, poi due mesi in bottiglia

Giallo paglierino vivace, sembra di annusare la scorza di un pompelmo e il suo gradevole amarognolo non è dissimile dai fiori bianchi primaverili ed erba bagnata insieme ad un profumato velo di salvia. Ha freschezza intensamente vivace ma non sbilanciante, la sapidità ha un carattere agrumato mentre il finale lascia una impronta minerale.

Tenuta Fontana, Alberata 2019

Uvaggio: 100% asprinio

Vinificazione: fermentazione e affinamento in anfora di terracotta a temperatura controllata per 7 mesi con permanenza sulle fecce finii acciaio inox per 6 mesi. Affinamento in bottiglia di almeno 2 mesi

Dorato luminoso e ricco. Intense ed eleganti fragranze di agrumi, mele ed erbe aromatiche. Sottile ma sempre presente un soffio minerale. Morbido seppure fresco e sapido, piacevolmente agrumato in bocca e attraversato da un’elegante sapidità foriera di note minerali.